Chi viene insultato tramite i social può ottenere un risarcimento danni da capogiro. A quanto ammonta l’importo e come si richiede?
Insultare una persona tramite i social costituisce reato di diffamazione aggravata. La pena per tale illecito consiste nella reclusione fino a due anni o nella multa fino a 2.065 euro. Per la punibilità esistono due metodi: la querela penale e il risarcimento del danno. Tramite quest’ultimo, si può addirittura guadagnare con gli insulti ricevuti dagli haters.
Se, insomma, viene accertato un comportamento volto a denigrare o danneggiare l’onore e la reputazione morale o professionale di un soggetto, anche tramite commenti sui social, l’offeso può trarre vantaggio economico da tali insulti. Vediamo in che modo e quali sono i requisiti previsti dalla normativa.
Per la Corte di Cassazione il risarcimento del danno per le offese ricevute tramite i social può essere richiesto anche se non vengono utilizzate parolacce. In alcuni casi, è sufficiente anche il semplice uso di emoji offensive. Bisogna, dunque, prestare sempre massima attenzione quando si intende commentare un post, una foto o una notizia. Possono, infatti, essere puniti anche gli “account fake”, ossia quelli che non presentano il nome vero del titolare. Tramite le informazioni di profilo è possibile, con l’aiuto della polizia postale e dell’Anagrafe della popolazione residente, risalire al luogo in cui è avvenuta la connessione e scoprire a chi inviare la richiesta di risarcimento danni.
L’individuazione dei responsabili è possibile anche quando gli haters si collegano a internet tramite il wi-fi di una connessione pubblica. Per punire i responsabili e ottenere il risarcimento del danno, la vittima può sporgere una querela entro 3 mesi dalla scoperta dell’offesa e costituirsi parte civile nel procedimento penale oppure presentare una lettera di diffida scritta dall’avvocato.
La seconda opzione è quella più utilizzata, perché sprona gli haters a pagare per evitare la denuncia. La diffida deve contenere una copia della pagina social in cui è stata riscontrata la diffamazione, la cd. quantificazione del danno (ossia la specificazione dell’importo che la vittima richiede all’hater) e il termine ultimo per il pagamento.
La somma a titolo di risarcimento viene calcolata considerando vari fattori. Come la tipologia di frase o parola, il ruolo sociale o professionale della vittima, l’attribuzione di un fatto specifico, il tempo per il quale l’offesa è rimasta sui social.
La Corte di Cassazione, infine, ha specificato che per il diritto al risarcimento del danno in caso di diffamazione non è necessario che siano state utilizzate parolacce. Bastano termini comunemente considerati denigratori.
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